Risposta a un amico procidano.
Ringrazio il prof. Michele Romano dell’affettuosa attenzione dedicatami in un suo post, che mi capita di leggere solo oggi: “Procida, carcerati dentro quattro mura”, pubblicato nel blog de Il Procidano, riguardo a “I migranti, la diffidenza di Procida e l’ombra di Arturo”, mio articolo apparso su Il Mattino alcuni giorni fa.
L’amico Michele Romano non mi risparmia lodi né la sua personale interpretazione rispetto ai temi portanti della mia riflessione: la inaspettata (per me) “chiusura” di una parte dell’isola all’accoglimento di 34 disperati.
Preciso di non aver mai inteso i procidani come una sorta di ergastolani agli arresti domiciliari. Nella mia immaginazione, nonché conoscenza dell’isola – nonostante la “presenza-assenza” che l’amico Romano pare imputarmi come colpa – rivendico sia la purezza del mio legame con quella lingua di terra, che la possibilità di amarla anche senza viverci stabilmente, di poterne anzi intuire turbamenti e paure, grazie alla lucidità che quella distanza fisica può regalare.
Voglio intanto confessare, non avendo la dimestichezza quotidiana con la filosofia, che invece nutre l’amico Romano, di non aver capito fino in fondo la sua posizione rispetto al problema migranti: lui da che parte sta, o vorrebbe stare.
Quello che invece sembra più chiaro, è la chiosa del suo post, quando suggerisce di uscire dalla retorica di Arturo e Graziella, se davvero si vuole che l’isola faccia un salto di qualità.
Dunque: l’amico Michelino definisce “retorica” gli scritti di una Morante o di Lamartine o di altri grandi autori, forse perché pensa che si possano vivere come mere citazioni di cui cibarsi a ogni piè sospinto? In quel caso, allora, davvero faremmo meglio a rinunziare ai libri. Del resto, Romano, da uomo di cultura qual è, avvezzo a Kant, Eraclito, Kerouac and company, sa bene che, ahimè – temendone il pensiero e quindi il potere – se ne potrebbe fare perfino un bel falò, e via!
E’ altrettanto chiaro, però, che il nostro Michele, grazie a Dio, custodisce pure lui i suoi testi-feticcio, e un’appassionata consuetudine di tener viva l’immaginazione. Cos’altro sarebbe, allora, quel continuo, preferito riferimento alla sua “polis micaelica”?
Con affetto.
Non voglio
entrare in questa discussione tra i due,dove,è acclarato che Romano è sconfessato in tutto e per tutto dalla scrittrice De Rienzo.
Volevo sottolineare solo un fatto: ” Della meraviglia da parte della scrittrice della chiusura x gli immigrati da gran parte della gente procidana.
Mi preme solo dire che non si tratta di chiusura, ma di una grande apertura a una comprensione più
approfondita e generalizzata del fenomeno che ,di tutto ha bisogno,tranne che essere affrontato con
superficialità e pochezza di argomentazioni.