PROCIDA – La storia della Chiesa si può dividere in due periodi: quello che va dall’avvento del figlio di Dio, il Nazareno, con il suo cammino di salvezza della persona nella propria interezza e quello di liberarla dalle catene atroci dell’egoismo e di condurla nell’ambito dell’amore, della carità e della misericordia.
Ne è sublime testimonianza il senso amorevole, fraterno ed egualitario e il “modus vivendi” delle comunità cristiane della prima ora. Per esempio ciò che il Pontefice ha annunciato in questi giorni: il diaconato alle donne. Tutto questo già veniva attuato negli arbori della “ecclesia”, assemblea del popolo di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo; ma dal 313 d.c. quando l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano, coniuga la religione di impronta cristiana con il potere che governa le sorti umane, viene smantellato del tutto l’avvertimento di Cristo.
Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Da quel momento, la Chiesa vive dentro un sentiero tortuoso e travagliato di straordinarie luci e di orribili ombre, incastonata in un drammatico contrasto tra diventare struttura di peccato o fonte di salvezza.
Ecco che il prete, giunto dall’altra parte del mondo, sulla cattedra di Pietro, si è assunto il compito di riannodare il filo di Arianna dell’essenza originaria ed evangelica del Cristianesimo. Lo testimoniano le sue modalità relazionali con le sofferenze e le ingiustizie, le nefandezze, le barbarie del mondo contemporaneo. In tal senso il Giubileo della Misericordia ne costituisce l’espressione forte. Emblematico diventa il suo grido di dolore rivolto all’Europa “Torni ad essere madre, migrare non è un delitto” che sta ad indicare la sua visione inclusiva di una dimensione religiosa aperta a tutte le diversità insite dentro le nostre esistenze.
D’altra parte, il tono dei suoi ordini del giorno sono tanto più intensi e drammatici perché emerge, anche in modo plastico, la sua solitudine accerchiato da una assordante “Chiesa del silenzio” del vecchio continente che non disdegna gli atteggiamenti xenofobi, omofobi e razziali dei cosiddetti portatori dei valori cristiani.
Stanno lì a dimostrarlo i muri ungheresi e austriaci, il disprezzo per la diversità negli ambiti francesi e italiani; cioè realtà che si vantano per le loro radici cattoliche.
D’altra parte, anche nella mia piccola comunità, la polis micaelica, non si avverte il phatos e l’afflato della rivoluzione copernicana di Papa Francesco, anzi il procedere del come sentirsi “ecclesia”, tranne qualche flebile testimonianza è caratterizzata più dai gusti, dai sapori medioevali che di quelli conciliari.
Comunque è bene riflettere che stavolta, colui che è partito dalla periferia del mondo prendendo il nome di Francesco, pone la chiesa dell’occidente davanti alle proprie contraddizioni e fragilità e lancia il monito che, se sarà sconfitto l’annuncio evangelico che prevede la salvezza del genere umano in tutte le proprie articolate e disarticolate espressioni, c’è il rischio fondato che crolli l’intera impalcatura e con il ritorno del sogno-incubo di Papa Innocenzo in cui vede crollare la basilica di San Pietro.
L’incubo fu dissolto dalle delicate e, allo stesso tempo, risolute mani di Francesco d’Assisi e di Domenico Guzziman. E adesso? Chi aiuta Papa Francesco?