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Piazza dei Martiri, il cuore di Procida

piazza martiri2di Giacomo Retaggio

Questa piazza la puoi  considerare il cuore di Procida ed un tempo molto più di oggi. Incastonata nel vecchio e vero centro storico dell’isola, essa un tempo rappresentava il punto di aggregazione della vita sociale, politica e religiosa del paese. Ed anche sede di fole e di inciuci: nei giorni successivi alle impiccagioni del ’99 nelle sue bettole, nei suoi cortili e nelle sue case si favoleggiava da parte di alcuni che gli impiccati erano tornati. Qualcuno giurava di aver visto di notte la chiesa di S. Michele illuminata a festa con i tre preti giustiziati che celebravano una messa solenne al suono dell’organo e con gli altri impiccati che seguivano il rito. E la gente, impaurita, ci credeva. Forse nell’inconscio tentativo di esorcizzare la morte o nell’ingenuo tentativo di chiedere una qualsiasi forma di perdono per l’eccidio cui avevano partecipato. Oggi non è più così, anzi puoi dire che essa è andata incontro ad una progressiva perdita del suo ruolo, anche se rimane di un fascino e di una bellezza incomparabili. E’ come se, paga della storia e delle vicende di vita che l’hanno attraversata, si fosse ripiegata su se stessa alla ricerca di una propria tranquillità, lontana dai clamori di un tempo. O forse, senza neanche che se ne renda conto, aspira ( ma forse se lo è già ritagliato) ad avere un nuovo ruolo nella vita procidana. E questo lo scorgi negli sguardi ammirati dei numerosi turisti che sciamano sotto il sole attraverso di essa o sostano presso il muretto che si affaccia sulla Corricella. E ti rendi conto che questa piazza, carica di storia e di vicende trascorse, sta vivendo una nuova vita, meno  concitata di quella di un tempo, ma aperta su un mondo nuovo. Come, d’altronde, il borgo di terra Murata, poco più in alto. Il maestoso palazzo che si erge di fronte alla chiesa fino ad un centinaio di anni addietro non era com’è adesso: l’ultimo piano non esisteva, ma aveva solo una torretta al centro ed al piano terra i locali che oggi sono bar e negozi erano cantine e stalle per cavalli. In epoca ottocentesca, quando la proprietà passò dai marchesi De iorio alla borghesia armatoriale procidana, furono costruite le due ali ai lati della torre facendogli assumere l’aspetto odierno. Dalla piazza si partono quasi a raggiera tre strade: la via di San Leonardo, la via della vigna e la via San Rocco. La prima è un budello stretto e lungo in discesa con ai lati alti palazzi settecenteschi in cui abitavano famiglie della borghesia armatoriale procidana. Le facciate hanno una certa pretesa di nobiltà architettonica, grossi portoni di legno robusto che immettono in un ampio spazio a piano terra da cui si dipartono tese di scale imponenti. Dalla sommità della prima rampa un’apertura, quasi sempre ad arco, da in lussureggianti giardini vietati alla vista dall’esterno ed in cui sorgono dei gazebo in muratura alla cui ombra, nei giorni d’estate, si attardavano ad oziare “i signori”. E non puoi fare a meno di pensare che questi palazzi riflettono l’indole e l’anima dei Procidani: schiva e riservata all’esterno, sontuosa e ricca dentro. Queste costruzioni si mantengono l’un l’altra costituendo un’unica cortina di case, ciascuna su un lato della strada. Alcuni anni or sono, durante la costruzione della rete fognaria, si scoprì che queste case avevano scarsissime fondamenta al punto che in alcuni casi si dovette procedere ad approntare delle sottofondazioni per salvaguardarne la statica. Questa strada in discesa va da Piazza dei Martiri fin giù  alla chiesa di S. Leonardo ed è inondata dal sole solo quando questo è a perpendicolo. Ma se ti metti con le spalle a questa chiesa ti si para davanti agli occhi una stupenda visione prospettica in cui alla fine di questo budello ombroso emerge là, in alto, in piena luce la chiesa della Madonna delle Grazie. E’ una vista di una bellezza incomparabile. La via della Vigna, un tempo un viottolo di campagna che si inoltrava tra rigogliosi vigneti, donde il nome, si prolunga fino al mare ed alla fine mostra i resti di quella che fu la torre di Tabaia. Era  questa una torre di avvistamento delle galee barbaresche che trasmetteva i segnali luminosi alle torri di Miseno e di Gaveta per avvisare in tempo dell’arrivo dei pirati: una sorta di telegrafo del tempo. Queste torri, che costellavano gran parte del litorale dell’Italia meridionale, erano state volute dal governatore spagnolo Don Pedro deToledo per arginare il pericolo degli sbarchi barbareschi. Percorrendo la strada della Vigna, sulla destra un arco ti immette nel Casale vascello, un ampio cortile ovoidale con tutt’intorno case altissime in una cortina senza soluzione di continuità. E’ un insieme di pieni, di vuoti, di archi, di scale all’aperto, di ripide scale nascoste nel ventre delle costruzioni, di “vefii”, di vari colori e forme, di ombre degli androni e di luce abbagliante dei terrazzi che ti lascia perplesso e quasi stordito  per la poliedricità dell’aspetto e la sonorità musicale. Le vie di accesso a questa “insula” urbanistica sono strettissime per contrastare il più possibile a suo tempo le scorrerie barbaresche. Il “Vascello” è un teatro naturale sia per la scenografia che per l’acustica. E ti vengono in mente le rappresentazioni teatrali effettuate in questo spazio senza l’aggiunta di scene e senza l’ausilio dell’amplificazione perché era già tutto così normale. Ti sembrava di assistere ad un antico spettacolo di guitti in una corte medievale. Contestata è la denominazione di questo Casale: secondo alcuni il nome gli deriverebbe dalla forma molto simile ad un vascello; secondo altri, invece, sarebbe l’italianizzazione della dicitura procidana “Casale re Vèsce”,vale a dire “Casale di giù”, per distinguerlo dal “Casale di sopra”, cioè “La spianata”, situato poco più in alto e a cui è collegato da uno stretto cunicolo. Quest’ultimo deriva il suo nome dallo “spianamento” della collinetta originaria il cui terreno servì al cardinale D’Avalos per colmare il “largo dei fossi” e costruire la Piazza d’armi a Terra Murata, nonché via del Castello. Dalla sinistra della chiesa della Madonna delle Grazie si diparte la ripida discesa di S. Rocco che termina di fronte ai gradoni che portano alla Corricella per poi riprendere la salita subito dopo. Proprio in questo punto, sulla destra della strada, incastonata nelle costruzioni adiacenti, quasi anonima nell’aspetto, sorge una cappelluccia dedicata a S. Rocco. Tu, uomo di oggi, ti chiedi che senso abbia avuto costruire una chiesetta del genere a cinquanta metri dalla chiesa della Madonna delle Grazie. E lo chiedi a Gabriele Scotto di Perta, priore della congrega dei Turchini ed esperto di cose ecclesiastiche procidane. Ti risponde che questa cappella, capace si e no di una cinquantina di persone, è antichissima ed è censita già in una “platea” del 1521. E’ dedicata a S. Rocco confessore e fu voluta dal feudatario Giovan Carlo Cossa, divenuto poi Abate di S. Michele. Un’acquasantiera con lo stemma di questa famiglia conferma il fatto. Sull’altare maggiore troneggia un quadro della Madonna della neve con S. Rocco e S. Sebastiano. Probabilmente fu costruita come ex-voto dopo un’epidemia di peste. Questa cappella è posta di fronte ai gradoni della scesa alla Corricella che, stranamente ed unico tra i quartieri procidani, non ha una chiesa propria. Però nel ‘700 al culto di S. Rocco, per opera dei marinai di questo quartiere, si sovrappose quello di S. Francesco di Paola. Forse, ti chiedi, i “corriceddesi” l’hanno da sempre considerata (e la considerano) la “loro” chiesa?

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4 commenti

  1. Gabriele Scotto di Perta

    Grazie per l'”esperto” ma il maestro sei tu. Mi e’ piaciuto molto.

  2. grazie per la splendida descrizione storica del mio quartiere,va dato atto però a Salvatore Costagliola a mio Padre e soprattutto dott. Giosuè Scotto di Santillo d’aver portato alla luce tramite un’acquerello di DUCLERE che si trova attualmente nel museo CORREALE di Sorrento,che raffigura il palazzo Davalos del XVII secolo. La scoperta di questo acquerello fu uno scoop di una bella edizione di ” PORTONI APERTI ” splendidamente condotta dallo chef SEBASTIANO CULTRERA

    • Gennaro Improta

      Una precisazione. Alcune riproduzioni di questo acquerello son a Procida da almeno un lustro. Chi volesse il file relativo puo trovarlo su Faceboo (gruppo Napoli Retrò).

  3. Più che un commento il mio vuol essere un plauso. Un plauso che sia da incoraggiamento all’autore a continuare nella sua encomiabile opera di rappresentare una Procida che non è più, onde scoprire l’anima vera di essa. Per quanto riguarda l’ultima domanda, quasi pleonastica, che l’autore si pone in merito alla chiesa di San Rocco, ritengo che tale piccola ed accogliente cappella sia stata sempre la vera anima della Corricella, attorno alla quale la gente si è raccolta nei momenti più difficili della propria vita.

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