Dopo essere disceso dalla chiesa, fatti pochi passi, ti trovi nell’ampio spazio della “Piazza d’armi” che si prolunga sulla destra con un viale alberato, un tempo molto curato, chiuso in fondo dal grosso portone di ferro, sconnesso e arrugginito, dell’ex- carcere. Un senso di angoscia ti assale. Vorresti entrare all’interno, ma non puoi: un lucchetto robusto mantiene le porte chiuse. Nei paraggi abita l’ex- agente di custodia Franco che possiede ancora la chiave per concessione del Ministero. Ti rivolgi a lui che subito intuisce i tuoi desideri e con fare circospetto ( nell’ex-carcere,infatti, non si può entrare) ti fa segno di seguirlo. Dopo diversi tentativi riesce ad aprire la serratura arrugginita ed il portone si apre di quel tanto che serve a farci passare. E tu nel frattempo rifletti su quanto sia ridicola la vita: per venticinque anni, come sanitario dell’Istituto, hai attraversato questa porta , una,due, tre volte al giorno, spesso anche di notte, a Pasqua, a Natale, a Ferragosto, e adesso sei costretto ad entrare come un ladro. L’interno del cortile è colmo di rovi e piante spontanee che superano il tetto. Si passa attraverso un piccolo tratturo ricavato qualche giorno prima da qualche mano pietosa abusiva e clandestina al pari di te. A stento riconosci gli uffici sulla sinistra: della matricola, del maresciallo, della foresteria, del giudice di sorveglianza. Entri all’interno dell’edificio ed attraversi i lunghi, ampi e ormai silenziosi corridoi, getti uno sguardo nei vuoti stanzoni che contenevano venti, trenta detenuti, senti un vento umido filtrare dalle finestre cui mani ignote hanno asportato le sbarre ed è come se un’aura di morte attraversasse tutto l’ambiente. E ti rendi conto che questa imponente struttura, il palazzo D’Avalos, sede di uno delle più importanti case penali italiane per quasi duecento anni, ha ormai esaurito la sua funzione di carcere. Finché ci hai lavorato dentro, tutto preso dal pianeta carcerario comprendente detenuti, guardie, regole, divieti, non ti sei chiesto quasi nulla su questo mastodontico complesso. Oggi, però, a quasi trenta anni dalla sua chiusura, ti cominci a chiedere quale sarà il suo futuro. Sarà destinato ad una lenta ma inesorabile autodistruzione, come in parte è già avvenuto, o c’è la possibilità di un’eventuale vita diversa? Questo grandioso complesso fu costruito tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 dal cardinale Innico D’Avalos, feudatario di Ischia e Procida come sua residenza. Fino al 1339 Procida fu feudo dei Da Procida il cui capostipite, Giovanni, fu così legato a questa isola da prendere il nome da essa. Poi subentrarono i Cossa finché nel 1529 l’imperatore Carlo V concesse l’isola in feudo alla famiglia D’Avalos e specificatamente al cardinale Innico D’Avalos. E fu una scelta felice per le problematiche di quel tempo. Infatti fino ad allora si era avuto uno stato conflittuale costante tra il potere politico, rappresentato dal feudatario, e quello religioso nella persona dell’Abate benedettino della vicina chiesa di S. Michele. Il cardinale D’Avalos, fondendo in sé i due poteri in quanto titolare del feudo e contemporaneamente principe della Chiesa e quindi superiore diretto dell’Abate, mise fine alla diatriba che si trascinava da secoli. La situazione di Procida, però, non era tra le più tranquille per via delle incursioni barbaresche. Nel 1521 il Barbarossa, tra gli altri danni apportati, incendiò la chiesa di S. Michele. Il corsaro Dragut a più riprese negli anni successivi portò lutti, distruzioni e rapimenti fino ad arrivare all’incursione disastrosa del 24 giugno 1544 con devastazione totale del borgo della “Terra casata”. La situazione richiedeva una soluzione rapida ed efficiente ed il cardinale Innico D’avalos giunse alla determinazione che bisognava assolutamente mettere in atto una strategia difensiva che servisse a salvaguardare il suo feudo con i suoi abitanti. Curioso il destino di questi ultimi: fino al IX – X secolo avevano vissuto, quelli dediti all’agricoltura, nelle campagne intensamente coltivate dell’isola, quelli che praticavano la pesca, nelle varie cale e calette della costa. Ma con l’affermarsi delle incursioni barbaresche sempre più frequenti e rovinose essi ritennero più sicuro rifugiarsi sul punto più alto dell’isola e si acquartierarono sulla collinetta della “Terra” che divenne pertanto “casata” costituendo un vero e proprio primitivo nucleo abitativo comunitario. Dopo il ‘600, attenuandosi il pericolo piratesco ed essendo nel frattempo la popolazione aumentata di numero, i Procidani presero a lasciare la “Terra” ed a scendere verso “giù” impossessandosi di nuovo del proprio territorio. Nel corso dei secoli si è avuta una vera e propria migrazione interna. Fu così che il cardinale Innico D’Avalos, nell’intento di realizzare una difesa del territorio, decise di costruire l’omonimo palazzo la cui edificazione iniziò nel 1563 per il progetto dell’architetto Benvenuto Tortelli. Il cardinale era un uomo del rinascimento ed il palazzo riflette questa sua caratteristica: è una felice sintesi delle esigenze difensive e residenziali. E’ contemporaneamente una fortezza ed una dimora signorile secondo i dettami dell’epoca. Il palazzo, su pianta quadrata e su tre livelli, ha la facciata rivolta verso il mare molto severa, quasi ad incutere terrore agli incursori che venivano di lontano, e quella verso sud, cioè verso l’interno, gentile e movimentata. Il cardinale, però, non si limitò alla costruzione del palazzo, ma stravolse del tutto il vecchio borgo medievale. Difatti costruì le mura di difesa, per cui la Terra da “Casata” divenne “Murata”, aprì nuove strade, allestì un giardino in funzione di parco pubblico, creò nuove dimore ed alloggi per la guardia armata ed un mulino per la macina del grano. Fu così che il vecchio borgo medievale scomparve quasi del tutto assumendo l’aspetto che ha ancora oggi. Nel 1734 Carlo III di Borbone requisì ai D’Avalos il palazzo per debiti e riuscì ad acquisirlo del tutto nel 1744 trasformandolo, insieme a tutta Procida, in uno dei “beni allodiali” della Corona. Nel 1818 fu trasformato in scuola militare per poco tempo, ma nel 1830 fu adibito a bagno penale e tale è restato fino al 1988. Nel 1850 i Gesuiti, secondo un’ottica di redenzione e di sollievo delle condizioni di vita dei “servi di pena”, crearono al suo interno l’opificio che esiste ancora oggi. Prima di riattraversare insieme al buon Franco lo spiraglio della porta di ferro che ti permette di uscire all’esterno ti fermi e ti volti a guardare, per quanto possibile attraverso la folta vegetazione spontanea, la maestosa facciata del palazzo. E pensi: che ne sarà di questo mastodontico complesso? Proprio in questi giorni è passato dallo Stato al Comune. Potrà questo palazzo, dopo una vita varia e tribolata, ritornare, in una sorta di rigoroso ricorso storico, allo splendore di un tempo?

un Paio di citazioni a proposito del futuro….
Citazione TGprocida: ….Procida, dopo Villa Favorita ad Ercolano, è il primo comune ad aver concluso il complesso iter procedurale di acquisizione dei beni inseriti nel progetto “Dimore d’Italia”.
Dimore d’Italia è un progetto per rilanciare il territorio ideato dal demanio e da INVITALIA, volto al recupero di immobili di pregio storico artistico.
cosa dice WIKI:
Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.
Principali partecipazioni
Italia Navigando S.p.A. !!!!!!!!!!!!!!!!!!
TITOLO di http://www.ilfattoquotidiano.it giungno 2012
Invitalia, voragine da milioni di euro.
Così le holding di Stato mangiano soldi
e poi arriva il colmo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/03/invitalia-transazione-da-16-milioni-a-favore-dellex-socio-in-italia-navigando/611033/
cioè praticamente INVITALIA ha regalato il porto di Procida e adesso l’ amministrazione ha dato in mano alla stessa holding il carcere di terra murata!!!!!!!!!!!!!!
Se qualcuna avesse ancora dei dubbi:
http://www.linkiesta.it/invitalia-sviluppo-italia-perdite#ixzz2YvrSpAnD
Presidente di Invitalia:
Giancarlo Innocenzi Botti – ex dirigente Mediaset
Questo palazzo tornerà ad essere uno dei “beni allodiali” della Corona e sarà svenduto ai soliti noti solo per ritardare il processo di fallimento della nostra amministrazione. E noi feudatari sempre zitti e muti a raccogliere le briciole di pseudo privilegi che la Corona vorrà elargire.