di Michele Romano – Nel seguire i percorsi professionali della nostra figliola Iris, nel campo enogastronomico, ci siamo recati, Maria ed il sottoscritto, a Milano dove da sei mesi si è trasferita dopo una lunga esperienza presso strutture ristorative stellate dell’isola d’Ischia. Giunti nella città ambrogiana dopo una attenta escursione all’Expo, insieme ad altri procidani (è stata una esperienza bellissima ed emozionante che smentisce tutte le cassandre politiche e dell’informazione, a quest’ultima consiglio un periodo sabbatico di riflessione) siamo approdati al ristorante “28 posti” della sig.ra Luisa. Qui la serata ha raggiunto momenti di notevole intensità emotiva nello sperimentare la creatività, la cura intensa nel preparare il cibo coniugato, in rapporto armonico, con gli antichi sapori della nostra terra, del carissimo Marco, tenero figlio di Agnese e di Vincenzo il console. Soprattutto mi ha colpito la sua intuizione di riprodurre, senza averne conoscenza diretta, ciò che mia nonna, oramai in epoca diluviana, da bambino, mi faceva gustare, come la tritatura di ceci, accompagnata da un nettare degli dei selezionato dalla raffinatezza e dall’oculatezza della magica sommelier. Ecco perché entrare in quel piccolo templio della ristorazione ha rappresentato un momento di estasi ieratica che riconduce a riconciliarsi con una esistenza troppo spesso travagliata.
Tutto ciò grazie, principalmente, all’arte culinaria di Marco e alla narrazione dettagliata e, allo stesso tempo, poetica dei contenuti dei piatti e della qualità del vino da parte di Iris. Così, nel salutare questi due onorevoli giovani, preso dalla commozione, ho pensato che la “polis micaelica” espande nel Mondo talenti di tal genere che impongono a chi governa e vive nella quotidianità territoriale, di rendere la nostra terra un sito attrattivo ed accogliente.