di Marco Landola – Quando viene a mancare una persona alla quale in qualche modo siamo stati vicino siamo portati a ricordarne le gesta, il suono della voce, un particolare del corpo, qualcosa di fisico e d’immediato insomma in modo che la nostra memoria si possa aderire ad esso più facilmente ed avere la forza necessaria per un immagine il più “concreta” possibile. Con Peppino, almeno a me, tutto ciò non è capitato.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo per diversi motivi e ciò che più mi è rimasto impresso e che ricordo con piacere è la semplicità che lo caratterizzava,una semplicità fatta di parole (il giusto) e di gesti sempre benevoli e concilianti. In una società in cui troppo spesso si urla per avere ragione degli altri e per farsi notare, a lui per farsi capire bastava parlare anche sottovoce: un motivo per cui in tanti lo hanno voluto bene.
In questi giorni ho sentito molte persone che pur non avendolo conosciuto (bene) di persona esprimevano tutte lo stesso parere che era più o meno questo: “mi dispiace, sono triste perché anche se non lo conoscevo era una persona che stimavo davvero tanto”; questa era una sua grande dote, forse la più grande che aveva: la bontà della sua persona la notava anche chi non lo conosceva, bastava solo vederlo passeggiare e infondeva fiducia, sicurezza, rispetto; lo stesso rispetto che lui aveva per gli altri.
Per tanti di noi è stato un punto di riferimento importante, ci ha dato l’esempio di come sia possibile impegnarsi in politica (o in altri ambiti) tenendo alti la passione e le idee, non la voce.
Da lui imparavi sempre qualcosa standogli vicino, era un esempio e forse nemmeno lo sapeva o forse lo era proprio per questo. Era proprio una gran bella persona.
Lo scrittore Francesco de Sanctis diceva: “La semplicità è la forma della vera grandezza”, sembra scritto proprio per Peppino, perché era semplicemente grande.