Procida. Commenti al vangelo di domenica 14 novembre: Giudizio sul tempio

Undicesimo appuntamento con la rubrica dedicata ai commenti al vangelo. Ascoltiamo  il commento al vangelo di questa domenica 14 novembre 2010 attraverso il video di  p. Alberto Maggi

trascrizione da scricare) e una omelia di mons. Oscar Romero (anno 1977)

Nella gioia e con la  nostalgia di questo Regno..vi abbraccio ev i auguro una buona settimana!

Lina
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XXXIII TEMPO ORDINARIO – 14 novembre  2010

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA
Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM

Lc 21,5?19
[In quel tempo], mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni
votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su
pietra che non sarà distrutta».
Gli  domandarono:  «Maestro,  quando  dunque  accadranno  queste  cose  e  quale  sarà  il  segno,
quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti
verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire
queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi
luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal
cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle
sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete
allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la
vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere
né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi;
sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà
perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Omelia di Mons. Romero

Lc 21,5-19: Giudizio sul tempio

Nella tradizione profetica, l’abbandono del tempio di Dio e la sua distruzione erano contemplati come la conseguenza della rottura dell’alleanza da parte del popolo. Gesù, in continuità con questa tradizione, annuncia la distruzione del tempio perché Israele non lo ha accettato come l’inviato per stabilire la nuova alleanza tra Dio e l’uomo.

Alcuni erano impressionati dalla costruzione, dall’enorme edificazione, dagli enormi blocchi di pietra che componevano il tempio. Gesù disse loro qualcosa che non si aspettavano: è vero che è impressionante per la sua enormità e bellezza? Così come lo vedete, non resterà pietra su pietra, perché sarà distrutto completamente. Gesù formula il giudizio sul tempio perché ha perso il suo valore, un tempo con vita; ora si era trasformato in un covo di ladri. Per questo sarebbe stato distrutto. Gesù non cercò di purificare il tempio, ma di denunciare la sua sterilità e iniziare un processo che avrebbe portato a cercare altrove la vera vita, il vero culto, il vero Dio.

I discepoli pensavano che finendo il tempio sarebbe finito Israele e con esso tutto il sistema edificato intorno ad esso. Non avevano capito che ciò che cercava Gesù era di riunire l’Israele rinnovato intorno al Padre, ai margini del sistema e che giungendo il suo Regno si sarebbero trasformate le relazioni tra gli uomini per costruire una storia umana d’amore, di libertà, di giustizia e che loro avrebbero giocato un ruolo fondamentale in questa ricostruzione dell’umanità nuova. Ma tutto ciò non si sarebbe dato senza la persecuzione, la sofferenza, la morte. Gesù disse loro: non vi confondete e rimettete le cose a posto. Una cosa è ciò che succede con Israele e tra voi ed i capi giudei, un’altra, molto diversa, è la fine della storia. Di fronte a ciò voi dovrete scoprire il modo giusto di agire.

La fine del tempio non avrebbe coinciso con la fine della storia. Anzi, non è che l’inizio. Ma esiste anche un’altra realtà futura: la storia umana, quella individuale e quella collettiva, s’incamminava verso la fine, la cui vicinanza o lontananza nessun umano poteva determinare, ma a cui bisognava prepararsi. Gesù uso immagini molto famigliari ai giudei: quelle dell’apocalittica. Era un modo di esprimersi che, mediante simboli, comunicava una serie di verità importanti sulla vittoria di Dio sul male. La parola apocalisse significa rivelazione. I discepoli volevano delle date; Gesù non dirà nulla su come sarebbe stata la fine, che era una domanda sterile; gli rivelerà piuttosto come avrebbero dovuto vivere la storia per prepararsi a questa fine.

In questo modo Gesù lasciò i suoi discepoli – e a tutti noi, che lo abbiamo seguito per proseguire la sua causa – tre lezioni: di fronte alla conflittualità politico – religiosa della storia bisogna vivere in atteggiamento di discernimento dei segni che in essa troviamo per agire; di fronte alla non conoscenza del momento e alla certezza della sua venuta per portare a compimento la storia, vivere con una aspettativa piena di speranza; e di fronte ai compiti del presente, un atteggiamento di vigilanza permanente. Ci sarebbe inoltre un altro tipo di riflessione di fronte a questo passo evangelico, che non cessa d’essere più che un simbolo, non una profezia – divinazione della fine del mondo. In questo senso, i primi cristiani posero queste parole sulle labbra di Gesù rifacendosi forse ad atteggiamenti radicali che Gesù in qualche modo assunse nella sua vita, ma ponendo in esse anche la propria esperienza. I primi cristiani, non erano “cristiani” di religione, ma giudei. Per molto tempo continuarono a frequentare il tempio e la sinagoga, senza pensare assolutamente di abbandonare la propria religione giudaica. Fu poi, col tempo, quando gli avvenimenti gli mostrarono e gli indicarono che poteva essere data una risposta religiosa nuova, e che questa nuova prospettiva religiosa (nuova rispetto al giudaismo) poteva essere fondata in Gesù. Venivano da una tradizione molto antica e si sentivano con diritto – e forse obbligati – a creare una propria tradizione…

Anche oggi siamo in un momento di inflessione della storia. La crisi della religione – paradigmatica in Europa – d’affrontare da diverse discipline (sociologia, antropologia culturale…) e evidentemente anche dalla teologia. Qualcosa finisce (un tempio si sta disfando) qualcosa sta già nascendo (una nuova risposta religiosa). Chi ci ha detto che in tema di religione (o di religioni) non può esserci niente di nuovo sotto il sole? Chi dice la nostra generazione non abbia il diritto di creare una nuova tradizione religiosa? Chi può assicurarci che già non si stia creando questa nuova tradizione negli innumerevoli movimenti religiosi? Chi potrebbe affermare oggi che Gesù voleva fondare esattamente ciò di fatto fu poi costruito sulla sua testimonianza e che non avvallerebbe una nuova rifondazione o rifacimento del futuro…?

Ma oggi dobbiamo introdurre anche il tema della crisi delle religioni, la fine di molte forme religiose che stanno realmente morendo, l’avvento forse di una nuova forma di religiosità che ancora non possiamo intuir

Se vuoi rileggere le riflessioni delle precedenti settimane clicca sui link sotto:

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