Faccio una premessa che probabilmente porterà qualcuno ad abbandonare la lettura: non sono credente. Ciò nonostante sono una delle tante persone che si sente di ringraziare Don Michele Ambrosino per tutto quello che mi ha insegnato.
Mosso evidentemente da una grande fede interiore ha dedicato tutta la vita a quella che lui sentiva essere la sua comunità, per la quale ha lavorato nel fornirle punti di aggregazione, di scambio, studio, facendo sentire tutti parte della stessa storia, della stessa identità, (la sua stessa persona è indissolubilmente legata al suo quartiere: dite la verità, se pensate a Don Michele pensate immediatamente alla Chiaiolella).
Era un prete, ma prima di essere un prete era un uomo colto e sensibile, che conosceva perfettamente i problemi a cui vanno incontro le persone nel corso della loro vita, e ha lavorato per far capire che è proprio la comunità a doversi fare carico dei problemi dei singoli e aiutarli.
Ci ha sempre spronato a porci domande, a studiare, a divertirci, a coltivare i dubbi, ma sempre insieme agli altri. E poi era una persona a cui le ingiustizie davano fastidio e ne parlava, a modo suo, ma apertamente.
Siamo cresciuti anche con lui tra una fiera del libro, un “ menerio” e i black – out alla statua di San Giuseppe seguiti dalle immancabili “carocchie”.
Quando ero piccolo molto spesso una parte del pomeriggio la passavo con papà e lui diceva sempre “ facimmece na trasuta rint’ ‘a ghiesa”, ma poi non entrava dove si celebra la Messa, ma nella saletta adiacente e per qualche minuto passeggiava in silenzio guardando le pareti e tutto il resto. Poi capì che a quella saletta erano legati i suoi ricordi di ragazzo, quelli più spensierati, ma anche quelli relativi all’età in cui si comincia a crescere e ad avere e ad affrontare i problemi. È stato così anche per noi.
In quel posto siamo cresciuti, ci siamo confrontati, abbiamo litigato, abbiamo cominciato a sviluppare le nostre idee sulla vita; ecco perché mi interessa relativamente che Don Michele sia appunto un “Don”: è probabile che pur facendo qualsiasi altro mestiere sarebbe riuscito a donarsi agli altri ugualmente.
Non credo che le religioni abbiano il copyright o l’esclusiva delle buone azioni e dei buoni sentimenti, e l’uomo che possiede in sé la capacità di fare del bene e del male, e io credo nell’uomo.
Ecco, Don Michele è stato un uomo che ci ha voluto bene e ci ha aiutati, insieme ovviamente alle nostre famiglie e i nostri amici, a dotarci di quegli strumenti culturali con cui affrontare la realtà, ma ognuno con le proprie fedi e i propri ideali e di questo lo ringrazio.
Un mio amico mi diceva che con lui se ne va un pezzo della nostra gioventù ed è vero, ma Don Michele era un uomo che amava la vita e io così voglio ricordarlo: col suo sorriso sornione, le mani dietro la schiena mentre col suo passo lento si avvia verso casa, trasmettendosi con la sua sola presenza, tranquillità e sicurezza.
Cià Don Michè
caro Marco, penso che “don Michele” non potesse avere un ricordo più affettuoso e chiaro di quello che hai scritto. E’ vero, nominarlo significa nominare la Chiaiolella, quella povera, quella dei pescatori che partivano ogni sera con quella lenta processione di zaccalee e barhe a traino con le lampare a gas e quella dei “parulani” che giravano coi ciucci per vendere i loro prodotti, la Chiaiolella dove si faceva il bagno tuffandosi dal pontile o dal Nautilus, dal S.Margherita o dal Corallo. Tutti sempre insieme, anche con forti contrasti, ma insieme e con la vita scandita dalle campane di S. Giuseppe, sotto la direzione proprio di Don Michele. Non so se Don Michele si fosse adattato alla nuova Chiaiolella, so che anche negli ultimi anni si fermava a chiaccchierare con tutti noi dispensando consigli e cordialità. Sarà difficile, anche per chi non è praticante, passare davanti alla chiesa e pensare che non sentirà più la voce particolare di Don Michele che dall’altare parlava ai fedeli.
Mi associo al tuo saluto.