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Procida, gli “aristoi” e la costruzione del bene comune

Di Michele Romano

PROCIDA – La provocazione giusta di Eugenio Scalfari cioè che l’oligarchia (il governo dei pochi) è la sola forma di democrazia che conosciamo, ha creato un ostinato sussulto nei fautori del NO al Referendum Costituzionale, specialmente nell’esimio giurista Gustavo Zagrebelsky il quale, afferma che il governo dei pochi (oligarchia) è il governo per ricchi che fanno i propri interessi a danno dei molti. Evidentemente non ha approfondito il pensiero dell’antica Grecia, culla della democrazia. Così rammentiamo a tutti Eraclito, nel dichiarare aperta la gare per divenire sapienti e saggi, definì una scala di valori umani: Muroi (innumerevoli), Polloi (molti), Aristoi (migliori). Tale gradualità fu espletata nel migliore dei modi da Platone nel dialogo della repubblica quando afferma che per guidare i processi democratici dentro la “polis” e lo Stato era cosa giusta ed opportuna affidarsi ai filosofi gli “aristoi”. L’emblema è Pericle, fondatore della democrazia ateniese. In tal senso viene capovolto il teorema esposto dall’illustre professore ritenendo che tali aristoi ci conducano alla costruzione del bene comune a vantaggio dei molti. Ecco perché bisogna valutare coloro che guidano i governi della “res pubblica”, gli ottimi del popolo, da non confondere con gli ottimati cioè gli aristocratici, i nobili, i ricchi.

Tutta altra cosa è il democraticismo che trasforma il concetto alto di volontà popolare in volontà “plebea” i cui peggiori istinti fanno emergere governi pessimi che conducono verso la deriva populista pregnante di feroci egoismi, muri, violenze ed ingiustizie agghiaccianti.

Ed è il pericolo strisciante che sta investendo la società contemporanea, principalmente quella occidentale, formatasi sui principi fondanti della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità della Rivoluzione Francese. In tal senso la pigrizia, il chiudersi nei propri usi e costumi abitudinari, la perdita dello slancio vitale verso l’altro ci ha resi spiazzati, impauriti, incattiviti davanti all’immane esodo biblico dei bambini, donne, giovani, anziani schiacciati e straziati dalla “Via Crucis” di carestia, fame, miseria, bombe inviate dai soliti carnefici dell’umanità. D’altra parte per percepire tali approcci esistenziali è sufficiente entrare dentro la quotidianità della propria comunità, sempre più incurvata nelle proprie angosce, paure, incomunicabilità, verso le quali le istituzioni, gli ambiti politici, scolastici, ecclesiali, socio-sanitari, uscendo dai sinedri implosivi in cui sono rannicchiati, rimettano in moto la loro naturale ragione d’essere cioè costruttori di speranza.

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