di Giuseppe Ambrosino di Bruttopilo
Un grido agghiacciante, all’improvviso, lacerò l’aria gelida di quel freddo pomeriggio di gennaio.
Al riparo di una “loggia” di fascine, lassù nella campagna di Solchiaro, si procedeva all’antico rito dell’uccisione del maiale.
La povera bestia, posta di traverso su un tino capovolto, alla prima coltellata, reagì con uno strattone, talmente violento, che i quattro uomini, che l’agguantavano ciascuno per una zampa, riuscirono a stento a trattenerla.
Ciro,” ‘u mpicciuso”, il proprietario del “porco”, rosso in viso, mentre attizzava il fuoco sotto il fusto dell’acqua bollente, inveiva come un ossesso contro il macellaio, accusandolo di non essere stato preciso nel centrare la vena del collo. Nel frattempo, bestemmiando, incitava i due giovani figli, a stringere con più forza la corda attorno alle zampe posteriori, e che stessero soprattutto attenti a qualche scalciata a tradimento.
Il vecchio brontolone, aveva aspettato proprio questa giornata, perché l’indomani, giorno 31, ci sarebbe stata una grande festa, non solo per ricordare il suo onomastico, ma anche e soprattutto per festeggiare il fidanzamento ufficiale di Pasqualino, il suo figlio maggiore, che per la prima volta portava la ragazza, di cui si era innamorato, a mangiare a casa sua.
Costei aveva appena 18 anni e si chiamava Marietta.
Bella e procace, due occhi stupendi, celesti come il mare, figlia di pescatori della Corricella, nonostante la giovane età, aveva già una storia segreta alle spalle.
Aveva conosciuto dapprima Crescenzo, l’altro figlio dello ‘Mpicciuso”, 18 anni anche lui, che in attesa di una sistemazione migliore, si era adattato a lavorare la terra assieme al padre.
Periodicamente il giovane si recava alla Corricella, per consegnare il vino alla famiglia dei ”Semmenzelle”. E proprio in questa famiglia aveva conosciuto Marietta e se ne era innamorato.
I due giovani però, visto che Crescenzo non guadagnava ancora, per il momento non ebbero il coraggio di impegnarsi ufficialmente, anche se tra di loro si giurarono amore eterno. Lui sperava in futuro di imbarcare su qualche nave, seguendo l’esempio del fratello Pasqualino, che a 22 anni, già navigava da quattro, sulle petroliere per il Golfo Persico.
Pasqualino era sbarcato pochi giorni fa, e destino volle che fosse lui questa volta, a consegnare il vino alla Corricella. E l’incontro con Marietta gli fu fatale. Anche lui rimase ammaliato dalla sua genuina bellezza.
Benché sapesse che lei e il fratello fossero segretamente innamorati, (un giorno proprio Crescenzo glielo aveva confidato) il disonesto non se ne fece scrupolo. Non solo dichiarò il suo amore all’avvenente ragazza, ma si disse anche disposto a fidanzarsi subito. Tanto lui già navigava e guadagnava pure bene. E la scellerata accettò.
Pasqualino raccomandò in famiglia di tenere nascosta il più a lungo possibile, la sua nuova condizione, per paura delle giuste rimostranze del fratello. Ma questi, anche se con ritardo, comunque lo venne a sapere e da allora giurò vendetta contro il fratello, anche se per prima cosa si proponesse un incontro chiarificatore con Marietta
Ma non ci fu né il tempo né l’occasione per incontrarla, ed oggi, fatalmente, si trovava a tu per tu con il fratello, nella sia pur ridicola condizione di mantener le zampe ad un porco, ma con un animo carico di odio, di una potenza talmente incontenibile, che rischiava di esplodere da un momento all’altro.
Fu Pasqualino, con somma incoscienza, a far scattare la scintilla.
– Mantieni forte, incapace – disse rivolto al fratello – altrimenti la bestia ci scappa dalle mani –
-Come? Ripeti di nuovo – rispose Crescenzo, con le labbra che gli tremavano.- A me, incapace?-
E intanto guardava il fucile , che il padre Ciro, teneva sempre carico, appeso ad una vite, pronto a sparare, nel caso si fosse posata qualche tortora sui pioppi dirimpetto.
– Si, sei un incapace – insistette con aria di sfida l’altro – altrimenti quella, che tu millantavi fosse la tua donna, non ti avrebbe lasciato, preferendo me!. –
Non le avesse mai dette! Queste parole fecero scattare in Crescenzo tutte le tensioni che aveva accumulato negli ultimi tempi.
Colpito sul vivo, il giovane, umiliato, lasciò all’improvviso la presa del maiale, sganciò con un balzo felino il fucile dalla vite, lo puntò con determinazione contro il fratello e intanto con le vene gonfie al collo, urlava ed inveiva:
-Ti debbo uccidere! Ti debbo uccidere, uomo di niente! Devi morire! non sei degno di vivere sulla faccia della terra, vigliacco! Maledetto vigliacco! –
Fu la mamma la prima ad intervenire. La poverina stava roteando col mestolo in una”scafarea”, il sangue che sgorgava dal collo del maiale, e accortasi della “mala parata”, piombò addosso al figlio per disarmarlo Anche i due contadini, che ormai, soltanto loro, erano rimasti a mantenere il porco, accorsero in aiuto della donna per rabbonire il forsennato.
Chi fu in grado di immobilizzare il giovane, fu alla fine il macellaio, che con uno scatto fulmineo, senza liberarsi nemmeno del pugnale insanguinato, lo agguantò forte per le spalle.
Il porco, intanto, abbandonato a se stesso, e caduto dal tino, dopo aver rantolato per lungo tempo nel fango, soltanto quando l’ultima goccia di sangue fuoruscì dal collo scannato, emise l’ultimo, flebile grugnito.
Pasqualino, intanto, impaurito e tremante cercava di giustificarsi:- Io non gli ho fatto niente. Niente gli ho fatt , lo giuro!-
Forse per lui significava niente, ciò che per l’altro rappresentava tutto. Sottrarre la donna all’altro fratello, sporcare un amore, che l’altro credeva puro, era come se al proprio fratello avesse strappato la vita.
Per la forte rabbia, Crescenzo ad un certo punto, cominciò a tremare, e accasciandosi a terra, gettò il fucile e pianse. La mamma cercò invano di consolarlo.
Il giorno dopo, mentre tutti festeggiavano, il povero giovane sparì. Fu inutile andare a cercarlo. Chissà in quale nascondiglio segreto si era andato ad occultare, per smaltire la sua inesauribile rabbia!
Soltanto il giorno appresso, a festa finita, si ripresentò a casa dalla mamma. Col volto smagrito e lo sguardo allucinato, con i pantaloni sporchi di cera, chiese soltanto un po’ di acqua fresca.
E poi assumendo un atteggiamento serio, che lo faceva apparire più maturo di uno che avesse la sua stessa età, dichiarò alla mamma che sarebbe andato via al più presto, avrebbe cercato un imbarco, e avrebbe resistito sulla nave il più a lungo possibile. Aveva bisogno di molto tempo per dimenticare.
Per fortuna trovò un imbarco su una nave passeggeri, l’”Augustus”, che faceva la linea per il Sudamerica.
Accumulò numerosi viaggi, e ad ogni viaggio, quando la nave sostava in Italia, non volle mai scendere a terra.
Da Napoli faceva una sola, unica telefonata. Quella alla mamma.
Un bel giorno, brutto per Crescenzo, era già un anno che navigava tra l’Italia e il Sudamerica, quando il comandante gli intimò di sbarcare, una volta giunti a Napoli.
Intanto erano fermi a Buenos Aires.
Crescenzo chiese allora di scendere a terra. Discese con calma lo scalandrone, quasi contando i passi, ed una volta poggiati i piedi sul molo, si diresse diritto dinanzi a sé, fuoruscì dall’area del porto, e si incamminò per la lunga strada, che si parava di fronte, avventurandosi a casaccio in quella grande città, di cui conosceva solo il porto.
E non si voltò più indietro.
Per i primi giorni riuscì ad andare avanti alla men peggio, vivendo soltanto con i soldi, che aveva guadagnato a bordo e poi man mano trovando un lavoro, riuscì a sistemarsi anche in una casa, ma fu comunque costretto a vivere sempre di nascosto, per timore di essere rimpatriato.
Ogni tanto faceva un’unica e sola telefonata. Alla mamma.
Ormai si stava abituando a questa nuova vita. Di trovare una nuova donna, per costruire assieme una nuova famiglia, lo considerava ancora prematuro.
Una sera, era il mese di maggio. Faceva un freddo cane. Pensò di telefonare a casa alla mamma per sentirsi meno solo. La mamma gli annunciò che l’indomani si sarebbero sposati Pasqualino e Marietta. Crescenzo non potette fare a meno di pensare come il crudele destino si fosse accanito contro di lui e provò una grande amarezza.
L’indomani sera, alla stessa ora, in cui molto probabilmente Marietta, dall’altra parte dell’oceano, festeggiava la luna di miele, lui si diresse verso la strada principale di quella che ormai era diventata la sua città, scelse una delle più belle “ragazze” che passeggiavano sul marciapiede, la pagò per una notte d’amore e la portò con sé nella camera del più lussuoso albergo cittadino.
Fu una serata eccezionale.
Simpatizzarono talmente fra di loro che decisero di chiamarsi con i rispettivi nomi. Lui disse di chiamarsi Crescenzo. Lei disse di chiamarsi Dolores. Quest’ultima, però non riuscì mai a spiegarsi il perché per tutta la notte, il giovane continuasse ostinato a chiamarla Marietta.