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Procidani si raccontano: Parlare dei giovani senza esserlo

giovani disoccupatidi Miriam Romano

“Siamo stanchi di diventare giovani seri o contenti per forza, o criminali o nevrotici: vogliamo ridere, essere innocenti, aspettare qualcosa dalla vita, chiedere, ignorare. Non vogliamo essere subito già così senza sogni.  Pier Paolo Pasolini

Ho 22 anni e ho studiato Biologia alla Federico II di Napoli. Come molti ragazzi procidani ho vissuto fuori dall’isola, spingendomi fino in Spagna.  Un anno fuori dal mondo italiano, un anno in cui mi è toccato ripetere più volte che Procida è una piccola isola vicino Capri, sì Capri la famosa Capri, che no Napoli non è il far west, che sì la pizza da noi è buona, che no, non è vero che gesticoliamo sempre, mentre ti ritrovi a farlo, o che sì potrei scegliere di andare a lavorare all’estero. Quando ci si allontana dal proprio paese ci si sente sempre un po’ più diversi da quando si è partiti, soprattutto quando sei giovane e con una personalità non ancora definita. Un giorno ti senti arrabbiato, un giorno confuso e l’altro ancora in pace con il mondo. In fondo noi giovani siamo uguali dappertutto: in Spagna come in Italia.

Ognuno, dopo il liceo, fa mente locale tra le cose in cui si vorrebbe specializzare e inizia a scalare la grande montagna. Durante la salita ci mette impegno, coraggio, desiderio e soldi. Paghiamo tanto per quello che dovrebbe essere un diritto, il diritto allo studio. Iniziamo a lavorare in nero per continuare a pagare le rette dell’Accademia. C’è chi d’estate va a cercarsi un lavoretto per alleggerire le spese in famiglia.

Certo non per questo siamo degni di un encomio, sicuramente molti penseranno: bhe  tutte le opportunità che avete voi ora io non le avevo, ho sgobbato tutta la vita e non mi sono mai lamentato. Il  problema è che ogni cosa è frutto del suo tempo. Ora ci troviamo in una società sempre in movimento: tutto è iniziato dalle prime industrie ed i primi mezzi di collegamento via mare o su rotaie. Poi il telefono, la radio, il computer, l’uomo sulla luna e navicelle nello spazio.

E’ una società che minimizza le distanze e grazie a questo tu, giovane che sei nato e che stai crescendo in questo ambiente, ti senti sempre più cosmopolita. Un giorno vuoi essere in Italia e il giorno dopo dall’altra parte del mondo. La tua visione mentale comprende 6371 Km (che è il raggio della Terra).  Finisci le superiori e per esempio ti iscrivi all’università. Studi senza pensieri, Finisci anche i tre anni dell’università nella migliore delle ipotesi. Poi ce ne sono altri due. Altro impegno e altri soldi ma tu tranquillo finisci anche quelli.

E ora?  Inizi a scrivere il tuo curriculum vitae, lo leggi e sembra buono. Lo invii. Aspetti. Nella migliore delle ipotesi ricevi una risposta: ti prendono come stagista, salario minimo contratto a tempo determinato; nella peggiore continui ad aspettare.  Il mostro crisi lo leggiamo sui giornali, lo ascoltiamo in televisione, lo percepiamo al supermercato quando hai solo 20 euro e devi comprare tantissima roba.  Studiamo consapevoli del fatto che non si finirà mai di imparare. E’ dura eppure sei ancora, da qualche parte, a ripassare appunti, o a fare ricerche, occupi il tempo in qualche modo. Poi ti siedi, chiudi gli occhi e ti convinci che questo non è solo tempo sprecato, che se per ora non c’è lavoro non è detto che non ci sarà nemmeno tra 10 anni. Proprio come “giovane”  quando leggo articoli o ascolto discorsi in cui si dice che voi “grandi” puntate tutto su di noi mi viene quasi sempre da ridere.

Come si può parlare del futuro dei giovani senza sapere cosa si prova ad essere giovani in una società come questa? I discorsi da fare su argomenti come questi non vanno standardizzati: il tema dei giovani è molto più di una pagina in un discorso elettorale. I politici, destra centro o sinistra davvero non importa, iniziano a battere forte sul tema dei giovani, dell’istruzione, del lavoro: sono temi facili che interessano tutti. Li denominano i veri problemi del paese come se ci fossero problemi poco seri. Si fanno paladini della giustizia e promettono di cambiare tutto.

Non so se c’è una soluzione a questi problemi, non so se è tempo di rivoluzione o di cambiamenti sottili e ben mirati. So solo che non c’è del marcio in tutti i politici: alcuni partono davvero con le giuste intenzioni, sono arrabbiati e stufi di guardare il proprio paese andare a rotoli e allora si armano di speranza e di un seguito di gente stanca allo stesso modo. Poi, però, si perdono nella reta intricata della burocrazia, smettono di proporre cose interessanti perché occorre troppo tempo e magari troppa energia per farti ascoltare sul serio da chi che non la pensa allo stesso modo. A quel punto si diventa spettatori inerti e passivi della vita politica, osservando battibecchi e capricci come avviene nei peggiori reality show. Ripeto non so quale sia esattamente la soluzione e se ci sia, dico solo che troppo spesso il governo si è mostrato  lontano, irraggiungibile, così tanto che sembrava fluttuare in una bolla sopra le nostre teste.

Non perdete tempo a vedere chi tra tutti ha ragione: è davvero così importante?

L’Italia è il paese delle contraddizioni. Esiste un partito, il partito leghista, talmente anticostituzionale che non si sa perché continui ad esistere in uno Stato che dovrebbe essere democratico. Le università sfornano ogni anno più di mille laureati eppure a lavorare ci sono sempre le stesse facce e nelle facoltà sempre gli stessi sederi su quelle poltrone. Si possono fare tanti altri esempi ma mi viene subito in mente una nuova domanda: è davvero l’Italia il problema? Se la risposta è sì credo che dovrebbe esserci un esame di coscienza comune sul perché siamo giunti a questa situazione, colpevolizzando non solo i politici ma anche noi stessi che abbiamo dato fiducia alle persone sbagliate, che abbiamo preferito avere 50 euro sottomano piuttosto che votare con consapevolezza, noi che eravamo talmente indignati e consapevoli del fatto che ”sono tutti dei ladri” che il giorno delle elezioni abbiamo guardato la “disfatta” del paese comodamente in poltrona. E se la risposta è no a chi potremmo veramente incolpare?  Con quanta precisione ed esattezza possiamo dire che in realtà la colpa non è del francese, dell’italiano o dello spagnolo,  ma tutto è riconducibile all’indole umana? Siamo animali furbi e affaristi di natura, vediamo l’utile piuttosto che il necessario, ci risulta più facile diventare famosi invece che importanti.

Non ci fidiamo molto e controlliamo sempre la bisaccia con i vizi altrui piuttosto che quella con i nostri. E se veramente il problema fosse la semplice indole umana può essa essere oggettivamente uguale per tutti? E se invece fosse il frutto di esperienze,  accumulate nel corso dei secoli, frutto di periodi storici caratteristici di ogni nazione che fanno si che ogni popolo sia descritto con un particolare epiteto?  E se fosse davvero così…ricordiamoci che possiamo sempre cambiare!

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Un commento

  1. miriam Romano che appare provata ma riflessiva, costruttiva nella sua dolorosa ma pertinente analisi, Miriam dicevo, esprime secondo noi, l’angoscioso dilemma d’ogni suo contemporaneo, seguire o opporsi a tutto questo ed …in che maniera se è lecito ?

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